Allora, avevo detto che non lo facevo e non lo facevo, ma siccome "in compagnia prese moglie un frate", con alcuni amici ci siamo messi davanti al televisore a vede' le quasi tre ore de film su santa Rosa.
E' una cosa che sicuramente va vista. Non so se ricordate, o se abbiate mai sentito parlare, della compagnia D'Origlia-Palmi, quella che fino agli anni settanta in un teatrino nei pressi del Vaticano metteva in scena le sante famose e la Madonna appariva a Bernadette dentro un armadio ricoperto di cartaroccia a fingere la grotta, le si accendeva un’aureola fatta con le lucette di Natale e quando diceva la celebre battuta “Io sono l’Immacolata Concezione” qualche lacrima scendeva in platea. Quella poi parodiata felicemente e con esilarante intelligenza da Paolo Poli nella "Rita da Cascia". Ecco, quella.
Partendo da quel tipo di trattazione del testo lì, ossia agiografia all'ennesima potenza, metteteci un misto di, oddio, neanche errori, gli errori si fanno quando uno ha un'idea anche vaga di cosa stia facendo, no errori no. Proprio se ne so' fregati altamente dei fili del telefono, dei cavi della corrente, delle saracinesche di metallo, delle cassette delle poste con la pubblicità dentro, delle facciate e dei campanili barocchi o cinquecenteschi, dei vetri alle finestre, dei profilati in alluminio, dei passaggi a livello bianchi e rossi in mezzo alla neve, del fatto che spesso era a fuoco il panorama dietro e non il protagonista davanti, dell'audio sovente non pervenuto o completamente inesistente, di personaggi che appaiono in scena dal nulla come in Stargate, dei motorini parcheggiati, di effetti larsen col microfono, del bip bip dell'orologio (presumo del regista), della telecamera riflessa sul plexiglas che ricopre la fossa della sepoltura, di gente che parla mezzo fuori e mezzo dentro l'inquadratura, dei colori improbabili degli abiti, dei dialoghi alla Bella Figheira, delle monache truccate come le veline, di Rosa che nella scena finale incombe sulla città come Godzilla. Non so se ricordate, o se abbiate mai sentito parlare, di Hellzapoppin'. Ecco, un Hellzapoppin', però involontario, altrettanto riuscito.
E allora, mi sono detto, vediamola diversamente: non è un "film", è una recita parrocchiale ripresa con la telecamera, in una recita parrocchiale si apprezzano altre cose: la devozione di chi vi partecipa e la motivazione che spinge ad allestirla sono il collante dell’operazione, il riconoscere volti amici o conosciuti fa da corollario, il fare gruppo e sentirsi parte di un progetto fa da motore, e da questo bisogna partire per apprezzare quello che si vede, come quando in un presepe vivente alla fine non ti stupisci più di tanto e neanche importa se le corde che tirano l’asino di Maria sono di moderna plastica e non di canapa come dovrebbero. Tutte queste cose, in quello che ho visto, sono pervenute, e sono convinto che la valenza del lavoro stia proprio, per non dire solamente, in questo, e in quest'ottica tutti si sono impegnati al loro massimo secondo i loro mezzi interpretativi e il regista ha fatto del suo meglio secondo quello che sapeva fare.
Forse, e dico forse, all'operazione avrebbe giovato un marketing diverso: mesi in cui le pagine dei quotidiani della Tuscia ci informavano delle avventure e disavventure della produzione (dall’annuncio del primo ciak alla scelta della protagonista, dalla multa per occupazione di suolo pubblico alla mancanza di stanziamenti comunali che supportassero l’opera in corso) e ci tenevano aggiornati delle peripezie della troupe con una grancassa mediatica come non l’ebbe manco Nicole Kidman quando si trovò a girare alcune scene del suo film a Sutri non hanno certo disposto favorevolmente gli animi ad accettare serenamente il risultato che è sotto gli occhi di tutti.
L'avessero presentato come quello che effettivamente è, ossia un devoto appassionato ingenuo omaggio alla devozione popolare forse, e dico forse, sarebbe stato accolto diversamente, con zero polemiche e con maggiore partecipazione.