Curioso Paese, l'Italia.
Se da un lato la vecchiaia sembra essere un requisito fondamentale e vincolante per entrare a far parte di una qualsiasi compagine governativa (dall'esecutivo al consiglio d'amministrazione), dall'altro i vecchi, termine sostituito dal più edulcorato "anziani" o dall'orrenda metafora "terza età", sembrano essere scomparsi dalla nostra vita, dalla vita di tutti i giorni.
Non è passato un millennio e nemmeno un secolo, ma solo una manciata di anni da quando si poteva uscir di casa e imbattersi in qualche simpatico quanto logorroico vecchietto che, presa come imperativo categorico la sua funzione di testimone dei tempi andati, non esitava a impegnare quarti d'ora sani del tuo tempo per raccontarti la storia della sua vita e della tua città, esperienza che ti lasciava stremato forse, ma annoiato mai.
Sono scomparsi i vecchi dalle nostre piazze, svaniti dalla maggior parte delle famiglie e relegati negli ospizi (termine sostituito dalla più rassicurante metafora "casa di riposo", in quell'ottica straordinariamente corretta dal punto di vista formale che chiama il falso in bilancio "contabilità creativa"), come se la vecchiaia, che dovrebbe essere termine ultimo della vita di tutti e mèta cui ambire, fosse diventata qualcosa di cui vergognarsi, una magagna inevitabile da occultare.
Parrebbe, all'occhio di un osservatore esterno, che in vecchiaia non si abbiano che due scelte: governa o sparisci (ed eventualmente muori), e parrebbe anche che il governare sia una sorta di elisir di lunga vita, una garanzia di longevità, visto che in Italia siamo pieni di "grandi vecchi" che pare non abbiano alcuna intenzione di abbandonare poltrone tanto faticosamente conquistate.
La storia, bellissima, del "Padrino" di Coppola che finisce i suoi giorni in campagna, a giocare col suo nipotino, completamente disinteressato di quanto era riuscito a creare sembra destinata a restare un sogno di celluloide: da noi i grandi vecchi muoiono seduti e ben eretti, in alcuni casi continuando a fare il bello e il cattivo tempo senza nemmeno prendersi la pena di restare dietro le quinte.
Si governa, dunque, o si sta all'ospizio. Di altre storie di vecchi non è dato sapere, tranne da quanto trapela da certe agenzie pubblicitarie che ci rivelano come la Sandrelli abbia risolto i suoi problemi con le ossa, la Carrà quelli col colesterolo e Banfi quelli d'udito.
Ai vecchi, nella nostra società, non pare sia data l'opportunità di condurre una vita normale, al pari degli altri esseri umani, senza dover necessariamente esser ridotti a stereotipi che insegnano alla nuora pasticciona come non si sbaglia candeggio o dover assurgere al ruolo, non so quanto invidiabile, di "grande vecchio".
Ai vecchi non è dato innamorarsi. Le fiction televisive raramente narrano di storie d'amore nate in vecchiaia, e raramente se ne sente parlare nella vita di tutti i giorni. Ai vecchi non è dato "rifarsi una vita". Per i vecchi è socialmente disdicevole avere una vita sessuale o innamorarsi, e figurarsi poi se si innamorano di qualcuno più giovane (a meno che il vecchio non sia un uomo, sempre galletto fino alla bara nell'immaginario collettivo: "daje nonno, spara l'urtimi corpi!").
I vecchi, se li incontriamo per caso in strada, sono solo un intralcio: fastidiosi quanto le piattole quando ci mettono una vita ad attraversare la strada, nefasti come avventori del servizio postale perché rallentano le code, ostacoli sul nostro cammino quando arrancano faticosamente appoggiandosi al loro bastone.
Eppure, col passare del tempo, dentro si resta uguali. E' solo il guscio che cambia, e in una società che dà talmente tanto rilievo al guscio da arrivare a preservarlo fino a farlo diventare in alcuni risibili casi un canotto di silicone, a paralizzare per sempre grazie al botulino sguardi una volta vivi, a ridurre quello che una volta era un dignitoso cranio a puntaspilli per esperimenti di trapianto pilifero, il guscio pare sia la cosa più importante.
Ma chiunque si sia innamorato davvero almeno una volta nella vita, oppure abbia provato davvero a guardare per una volta oltre le apparenze, si è reso conto che il guscio non è altro, appunto, che un guscio destinato a sfaldarsi, mentre al suo interno tutto resta uguale.
E noi, in nome del guscio e forse anche per esorcizzare la paura di invecchiare e quella di morire, ci rendiamo responsabili dell'allontanamento dalla società di migliaia di esseri umani, chiudiamo la nostra memoria viva e reale negli ospizi e ci costruiamo una memoria virtuale su internet, nell'attesa inevitabile di essere anche noi allontanati, raccogliendo quanto abbiamo seminato.
Non so perché io stia scrivendo questo, e non so neppure esattamente dove voglio andare a parare. Forse la ragione sta nel fatto che, come i miei capelli sempre più bianchi sono lì a testimoniare, sto lentamente diventando vecchio anch'io, e ci voglio arrivare con tutte le mie rughe e con tutti i segni del tempo che parleranno per me della vita che ho avuto la fortuna di vivere, in mezzo alla società e rompendo i coglioni fino alla fine.