Tutta una polemica sullo spot del Buondì Motta (che è e resta, nella sua versione base, una delle merendine che ricorda più da vicino, per sapore e soprattutto per consistenza, le spugnette della Stanhome) perché, orrore degli orrori, la mamma salta per aria colpita da un asteroide.
In Italia la mamma non si tocca. Eh, non sia mai. Poi in età adulta andiamo tutti serenamente in analisi a riparare i guai che, inconsapevolmente o meno, la mamma ha combinato durante la crescita di puposanto, ma la mamma non si tocca. Né la mamma né i bambini, per inciso: se la pubblicità fosse finita con la figlia che salta per aria, cosa che per la sua querulità avrebbe meritato senza se e senza ma, e la mamma che si gustava finalmente in santa pace il suo buondì, eh, apriti cielo comunque. Mamme e bambini non si toccano.
E' un sentimento talmente radicato, quello dell'intoccabilità della Madre, che in famiglia quella santa donna di mia zia terziaria francescana tollerava a malincuore qualsiasi cosa volasse all'indirizzo del Creatore, ma mai dico mai qualcosa che riguardasse la Madonna (era, per inciso, l'unico modo per farla temporaneamente desistere da ogni discussione). La mamma non si tocca. Il bambino non si tocca.
In questa curiosa epoca di rebound, dove ci sono le mammepancine che su internet cercano chi sia in grado di realizzare gioielli con il loro cordone ombelicale o con la loro placentina santa ("niente giudizi, per favore!"), dove un branco di disadattate si accatta la bambola reborn per fingere le gioie della maternità, dove antiche femministe si sono trasformate in tunonpuoicapirenonseimadre, che per come la vedo io è un modo tragico assai di concludere una vita di lotte, che va bene che si nasca incendiari e si muoia pompieri però c'è un limite a tutto, le mamme i bambini e la famiglia sono tre tabù mica da ridere.
Il pupo è santo, la mamma è santa, la famiglia è santa, e abbiamo fatto una bella trinità laica santificata per mistero della fede: non è dato investigarla e tanto meno ironizzare.
Mo' lasciamo perdere che non si sia capito il semplice fatto che la pubblicità irrideva i suoi stessi meccanismi, ossia quelli che da decenni ci propongono che la famiglia felice, con la casa perbene il pratino tagliato il cesso che brilla i pavimenti che splendono le figlie e i figli immacolati, mangia quelle merendine lì: con intelligenza rara hanno fatto saltare tutto con una botta di asteroide, peraltro giocando sulle paure internettiane di un nutrito branco di mentecatti che si documenta su altervista.org.
Lasciamo perdere questo, se non si è capito non si è capito, del resto l'umorismo a spiegarlo non funziona, figurarsi l'umorismo nero che per apprezzarlo presuppone non tanto intelligenza quanto volontà dissacratoria. Non si è capito, pazienza.
Ma le cose che si sono lette a riguardo, uh, "Non avete pensato ai traumi dei bambini che guardano la pubblicità". Ehm, i bambini sono crudeli, mamme, fateci caso. I bambini sono i primi a ridere delle disgrazie altrui. I bambini se la ridono di gusto, hanno il senso dell'umorismo nero proprio nel DNA, fino a quando la famiglia non gli inculchi il concetto che ci sono cose di cui non si deve, anzi non si può, ridere pena esser considerati brutte persone. La morte è una di queste cose. La morte della Mamma colpita dall'asteroide nello spot, cosa che effettivamente fa ridere parecchio perché si appoggia proprio sul meccanismo più elementare e universale della risata (la gag, telefonatissima peraltro, proprio a prova di imbecille), meno che mai!
In realtà io credo che si viva ancora in una società in cui la risata è vista come qualcosa di "poco serio", e quindi ci sono cose su cui hai licenza di ridere e altre no, perché come disse Paolo Poli "nelle scritture è scritto che Egli pianse, mai che egli rise" (e giù una platea sana a ridere). La prevalenza morale della lacrima sul riso, ecco il problema di base secondo me. L'attore tragico, quello che ti spreme tutte le lacrime, è persona seria, è attore migliore. L'attore comico, si sa, è solo un cialtrone che ti strappa una risata.
Anche la cultura, non sia mai tentare di comunicarla in maniera facile e magari divertente, no, la cultura deve avere la Kappa davanti e ti deve far venire due coglioni tanti, dev'esser cosa per pochi intellettuali di quelli che non ridono mai. Mai comunicare concetti seri in maniera leggera e magari divertente. Se ridi, se fai ridere, non sei una persona seria.
Quindi davanti alla morte, e meno che mai alla morte della mamma, non si ride. Non si può ridere. Io stesso, quando faccio battute sulla morte della mia, vedo facce sgomente. Eppure, vi assicuro, ho istintiva pietà per l'interlocutore e mi tengo leggero eh?
Penso, per concludere tutto questo e per tentare di riassumere, che una società che non si senta completamente libera di poter ridere di ogni cosa senza imposizioni, giudizi altrui o sensi di colpa, sia una società che ha ancora tanta strada da fare prima di dirsi veramente libera e consapevole. D'altronde persino Leopardi, non propriamente un compagnone, concluse che chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo.
Poi ci ha dovuto aggiungere "come chi ha il coraggio di morire", perché Leopardi si sa, quella punta de allegria ce la doveva sempre mette, non sia mai non lo prendessero sul serio.