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  • misteralfi

Partono i bastimenti (pe' terre assaje luntane)


Secondo un dossier statistico del centro studi e ricerche Idos e Confronti, ogni anno duecentocinquantamila italiani scelgono di emigrare all'estero. Duecentocinquantamila. Significa che ogni anno ci giochiamo una città come Verona o quattro città come Viterbo. Credo che soltanto questo dato, a ragionarci su a mente fredda, dovrebbe riuscire a spingerci a rivedere certe preclusioni che, ultimamente, sono pericolosamente risorte in tema di accoglienza degli immigrati.

E però già mi sembra di sentire le voci di molti: "che c'entra, gli immigrati che vengono da noi non possono essere messi sullo stesso piano dei nostri emigrati". Giustamente, si farà notare che il livello di scolarizzazione e specializzazione dei nostri emigranti non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello delle persone che scelgono di immigrare nel nostro Paese; infatti ci racconta il medesimo dossier che il 30% degli italiani che decidono di andarsene sono laureati, il 34,8% sono diplomati e il 34,6 per cento ha la licenza media.

Chi decida di interpretare questi dati pro domo sua, penserà che noi esportiamo il meglio, che non abbiamo niente a che vedere con la "feccia" che viene da noi, dimenticando però che le lauree e i diplomi di chi immigra da Paesi extra UE non sono riconosciuti nel nostro Paese e che c'è anche caso che dietro al ragazzo Senegalese che chiede l'euro fuori dal supermercato possa tranquillamente nascondersi un chirurgo che sarebbe in grado di operarvi a cuore aperto o un professore di matematica che saprebbe risolvervi un'equazione di quarto grado.

Chi invece decida di interpretarli per quello che sono, scoprirà che ogni anno se ne vanno duecentocinquantamila giovani, dei quali pochissima manodopera e parecchie teste pensanti. In altre parole, scappa dal Paese gente che si è formata da noi e va a portare il frutto di questa formazione in una nazione straniera, non contribuendo né alla crescita dell'Italia né al suo sistema pensionistico. Scoprirà anche che duecentocinquantamila giovani che se ne vanno significa un'emorragia di un milione di persone ogni quattro anni, a fronte di 464.000 nascite annuali registrate nel 2016. Il che significa che se da un lato in Italia si fanno pochi figli, dall'altra larga parte dei figli che facciamo lasciano il Paese d'origine. Il che significa che restano solo i vecchi. Il che significa un sistema pensionistico destinato al fallimento, se scompaiono i numeri dei giovani che questo sistema dovrebbero sostenere con i loro contributi.

Se io fossi al Governo, credo che la mia maggiore preoccupazione sarebbe quella di arginare quest'emorragia facendo del Paese un posto dove valga la pena di restare, senza stare ad appoggiare troppo il mio consenso sullo spauracchio dell'immigrato che "ruba il nostro lavoro": il lavoro che al momento siamo in grado di offrire è talmente poco invitante e talmente malsicuro e mal retribuito che giusto un immigrato o un disperato accetterebbe di lavorare, che so, in un call center. Perché qui a parole si difende la famiglia tradizionale, la natalità, la dignità degli italiani, però nei fatti sono anni che non si fa una seria politica sul lavoro, che la vita è sacra dal concepimento alla nascita ma per quanto riguarda gli asili fottetevi, che con una laurea con 110 e lode si arriva a uno stipendio da ricercatore universitario che gira intorno ai 1500 euro al mese contro i 58800 dollari annui offerti, mediamente, dagli Stati Uniti.

Io stesso, al momento, scrivo da Macao. Sono a Macao non solo perché la mia carriera è una carriera internazionale ma perché, allo stato attuale dei fatti, faccio parte di quel numero di italiani che di fronte a un lavoro malsicuro, malpagato e senza la certezza della puntualità del pagamento preferisce, ogni volta che può, lavorare dove il contratto è a prova di bomba, i denari sono certi, il prezzo della prestazione è all'altezza della prestazione e del livello di carriera, a differenza del mio Paese dove si piange miseria, il prezzo è abbassato, il contratto è un capestro e la certezza del pagamento nei tempi prestabiliti un'utopia.

Credo che un Governo intelligente dovrebbe interrogarsi su queste fughe di giovani e di cervelli, e trovare una soluzione. L'alternativa è invece quella che vediamo: continuare a nascondersi dietro lo spauracchio dell'uomo nero (intendendo per tale chiunque diverga dall'immaginario collettivo) alla ricerca di un facile consenso che assicuri stabilità politica, e non combinare un'ostia di concreto per invertire la tendenza e rendere l'Italia un Paese dove, a un giovane talentuoso, "convenga" restare. Il che significherebbe, per inciso, far piazza pulita della mediocrazia imperante e tornare (o cominciare) a valutare le persone nel loro merito, cosa che trovo difficile essendo la mediocrazia, appunto, imperante .

Domanda provocatoria: e se la ragione della mediocrazia imperante consistesse proprio nel fatto che i migliori, stremati, ce li siamo persi per la strada perché sono andati all'estero?

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