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La poesia di Natale con Gesù che scompare


Partiamo dal presupposto che il Natale, per sua definizione, parla di Gesù. Ossia partiamo dal presupposto che una festa, esistente già da prima della cristianità, sia stata ormai completamente assorbita dalla cristianità stessa e a nulla serve obiettare che fin da prima dell’arrivo di Cristo il 25 Dicembre, ossia a ridosso del Solstizio d’Inverno, si festeggiassero svariate divinità autoctone e che a Roma si festeggiava il “sol invictus” almeno fino al 460 dopo cristo, tanto che Papa Leone I in un suo sermone di quell’anno ancora condannava questa usanza che durava a morire tra i romani. Partiamo dunque dal presupposto che il Natale, festa pagana assorbita dal cristianesimo, sia ormai sacrosantamente identificato con la nascita di Gesù.

Premesso questo, ci troviamo a dover ragionare di una maestra che, in una poesia presentata ai sui alunni, cambia “Gesù” con “laggiù” per non turbare la sensibilità di alcuni. Segue globale stracciamento di vesti e, visto che la maestra è delle mie parti, illuminanti interventi di soloni autoctoni sulle testate locali.

Personalmente credo che la gravità della faccenda non stia tanto nella sostituzione della paroletta quanto nella stessa poesiola, ossia mi lusingavo di credere che in una scuola laica le poesiole su Gesù e l’asinello e il bue e gli angioletti fossero semmai rimaste appannaggio dell’ora di insegnamento della religione cattolica e che non venissero ammannite agli scolari durante le ore di regolare insegnamento, a meno di essere in un istituto retto da pie suorine.

Quindi secondo me la maestra in questione avrebbe proprio tranquillamente potuto/dovuto esimersi dall’insegnamento della poesiola sul Natale con tanto di cambio di parola, magari ripiegando (se proprio ne sentiva la necessità) su “Allarme nel Presepio” di Gianni Rodari, dove più che del bambino al freddo e al gelo si parla del messaggio di pace e di accoglienza che il Natale porta con sé. Sempre di Rodari esiste “La Bambola a Transistor”, una fiaba natalizia meravigliosa che parla di emancipazione, di ribellione agli schemi imposti dalla società, di libertà. C’è una bellissima fiaba di Andersen che paragona l’albero di Natale alla vita e all’impossibilità di riconoscere la felicità quando l'abbiamo davanti, e chissà quanti altri brani interessanti nasconde la produzione letteraria mondiale. Insomma esiste una letteratura che riesce a parlare del Natale senza affrontare direttamente l’argomento religioso, così da poter coinvolgere tutti e non offendere il credo di nessuno.

Per concludere: alla maestra che ha insegnato una poesia bruttarella alquanto che parla di Gesù cassando il nome di Gesù (sarebbe un po’ come insegnare l’Ave Maria sostituendo il saluto con Ciao Signora) e che lo ha sicuramente e giustamente fatto per non metter da parte o turbare la sensibilità di qualcuno, io dico che comprendo il suo gesto ma non lo approvo. Meglio avrebbe fatto ad evitare interpolazioni scegliendo fin da subito un brano che non avesse bisogno di essere confessionalmente adattato: si sarebbe risparmiata insulti e stracciamenti di vesti praticamente automatici in un'Italia sempre più simile al ventennio che vede ovunque "nemici della nostra cultura".

Posto, ovviamente, che parlare del Natale a scuola sia l’imperativo categorico di un insegnamento laico, cosa di cui continuo a non essere convinto.

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