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  • misteralfi

Non c'entra? Ce lo spingo a forza!


Sono andato a vedere (e rivedere) Il Ritorno di Mary Poppins, che è un film delizioso se non fosse per il disturbante adattamento dei testi musicali che a un orecchio allenato che pure non conosce l’originale suonano forzati, storti, infilati lì col calzascarpe. Si tratta di quegli adattamenti, per capirci, che non si fanno scrupolo di aggiungere una nota dove non c’è, di spostare gli accenti fregandosene altamente della fonetica ma soprattutto di travisare completamente il significato originale del testo.

Gli adattatori italiani, da qualche tempo a questa parte e probabilmente complice la scomparsa degli executive Disney di una volta che rispedivano l’infedele testo al mittente, ci hanno già da tempo abituati a questo genere di massacri, come è accaduto per esempio nell’infame traduzione di “Circle of Life” nel Re Leone: laddove l’originale diceva in sostanza che dal giorno della nostra nascita a quello della nostra morte il mondo è pieno di cose inimmaginabili e che tra speranze e sconforti e certezze e incertezze finalmente troviamo il nostro posto nel cerchio della vita (il che è un po’ la storia di Simba), in italiano decisero di schiaffarci dentro un significato escatologico. Per spiegarla meglio, il testo italiano adatta l’originale “Dal giorno in cui arrivi su questo pianeta, e a piccoli passi cammini verso il sole, ci sono molte più cose da vedere e da fare di quanto tu possa immaginare” con “E un bel giorno ti accorgi che esisti, che sei parte del mondo anche tu, non per tua volontà, e ti chiedi chissà, siamo qui per volere di chi”. Il che non solo non c’entra assolutamente un accidente col senso del testo ma lo travisa al punto tale che si potrebbe tranquillamente cantare all’offertorio per la felicità del prete. Per tacere dell’assolutamente ripugnante traduzione di “it’s the circle of life and it moves us all” con “è una giostra che va questa vita che”. Cantata da Spagna.

Pareva impossibile peggiorare, ma di peggio fecero con il Gobbo di Notre Dame. Nella meravigliosa “God Help the Outcasts”, dove la zingara Esmeralda prega Dio di aiutare gli emarginati ricordandogli che era un emarginato anche lui dicendo “Aiuta gli emarginati, affamati fin dalla nascita: mostragli quella pietà che non trovano sulla terra”, noi adattiamo “Dio fa qualcosa per quelli che un gesto d’amore sanno cos’è”. Quelli chi? Di chi parliamo? Nel testo italiano, non lo sapremo mai.

Se non altro però ancora ci si sforzava di far quadrare la metrica italiana sulla metrica originale, e pazienza se nell’adattamento il senso della canzone andava a carte quarantotto e pazienza se in un musical (perché i film Disney quello sono) il senso della canzone è parte integrante della storia, pazienza, ce ne faremo una ragione, saranno brutte ma se non altro si canticchiano.

Nel “Ritorno di Mary Poppins” manco quello. Non solo gli adattamenti mandano spesso all’aria il senso originale, ma riescono anche a rendere assolutamente non orecchiabili e velocemente riproducibili canzoni nate per essere orecchiate e riprodotte. Senza stare a fare troppi esempi, ne prendo uno per tutti: la canzone che chiude il film si chiama “there’s nowhere to go but up” che viene tradotta “fin dove potrà portarmi”. Una sillaba in più, sul finale, che rende zoppa canzone e metrica. Perchè usare una frase tipo “puoi solo salire su” pareva brutto, soprattutto in vista del fatto che quando il cattivo del film prende un palloncino e quello non sale, la battuta originale della Lansbury dice “There’s nowhere to go but up!”, gioco completamente perso nella traduzione.

Certamente si obietterà che è un lavoro difficile, che le parole inglesi sono tutte tronche mentre quelle italiane sono quasi tutte piane, che nel 2018 non si può risolvere troncando “cuor, amor, tesor”, tutto giusto. Eppure una volta gli adattatori si mettevano seduti e non consegnavano prima di aver trovato una soluzione che salvasse il senso originale e la musicalità della frase. In altre parole, una volta gli adattatori venivano ben pagati perché sapevano fare in maniera eccellente un mestiere assai difficile (uno per tutti, Roberto de Leonardis in arte Pertitas). Un esempio per tutti? "Look for the bare necessities, the simple bare necessities: forget about your worries and your strife" dove nell'italiano ovviamente si perde il gioco bear/bare e tutti i riferimenti all'orso ma, che diamine, "Ti bastan poche briciole, lo stretto indispensabile, e i tuoi malanni puoi dimenticar" è un adattamento fatto da un genio che ha salvato significato, ritmo, prosodia e immediata orecchiabilità.

Ora invece pare che l’imperativo categorico sia concludere in fretta facendo quadrare il cerchio alla bell’e meglio, e chi se ne frega se nel processo si cambiano metrica e significato. E soprattutto, chi se ne frega se per il pubblico diventano immemorizzabili e incantabili. Tanto ormai siamo abituati coi cantanti che mettono la metrica a cazzo ogni sàcròsantò giornò, chissenèfrega.

Lo stesso disarmante approccio al testo accade, per inciso, con certi registi d’opera, talmente affezionati alla loro idea geniale che quando si accorgono che non c’entra una beneamata fonchia con musica e libretto ce la inzeppano dentro a forza e forse hanno ragione loro, visto che spesso son tacciati di assoluta e profonda genialità da pubblico e critica.

Per me, io preferisco la fedeltà all’originale. E non me ne voglia la categoria dei doppiatori che, lo capisco, deve mangiare e quindi non si possono avere i film in lingua originale come nel resto del mondo civile, ma prego a manine giunte che almeno le canzoni dei film restino in versione originale sottotitolata, come saggiamente si fece per Into The Woods. Anche perché, ditemi, quale attrice italiana seppur bravissima potrà mai doppiare credibilmente la magia del canto di Angela Lansbury?


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